«Tu lo dici: io sono re». Solennità di Cristo Re, anno B

«Tu lo dici: io sono re» (Gv 18,37)

Il soffrire di chi sta per morire e sa bene della sua condizione. La morte di una persona cara. Un fallimento nel lavoro. Il legame con la fidanzata o con la sposa che si spezza. Il venire giudicati apertamente. Una malattia che ti accarezza un po’ alla volta. L’essere disprezzati dagli altri. Il non essere capiti… Sono tutte sofferenze, esperienze che quando arrivano fanno tremare dentro e mettono sotto sopra l’anima, la sconvolgono.

Eppure, succede di trovarsi accanto a persone che vivono il dramma della sofferenza con grande dignità, che vivono il tempo della sofferenza senza lasciare che questa li sconvolga a tal punto da rovinarli dentro. Ci sono persone che vivono il dramma della sofferenza con robustezza interiore e ciò non significa che non piangano, non protestino, non abbiano paura: una volta passato tutto questo, però, vedi affiorare una compostezza d’animo che li fa restare in piedi dinanzi a quanto vivono, che non li travolge, non li turba fuori misura. A parte il fatto che possono esserci modi diversi per ciascuno di noi di reagire quando si viene toccati dal dolore… ci sono mogli che, pur restando vedove, magari molto giovani, dinanzi alla morte del marito portano in cuore una serenità d’animo che li fa prendere in mano ancora la vita… Ci sono uomini che pur sapendo che stanno per morire, vivono la loro dipartita con una fiducia tale da incoraggiare a vivere anche i figli, la moglie… o, e penso alla morte di certi preti, la propria comunità cristiana, uomini e donne che la sofferenza non sfigura, uomini e donne che, anche se sono straziati dal dolore quasi da non aver lacrime, ti dicono che in loro c’è qualcosa di più…

Guardo queste persone e vedo in esse i tratti di Gesù che oggi incontro dinanzi a Pilato.

Me lo immagino, Gesù: sanguinante, stanco, sudato, sporco, con le mani legate come un malfattore, solo, senza nessuno accanto. Tutto è brutto attorno a lui, la sua dignità sembra essere stata perduta.

Eppure, Gesù, anche se stanco, anche se sfinito dalla sofferenza, dall’odio e dall’incomprensione… non ha perso la sua dignità, non ha perso la sua compostezza. Anche se tutto attorno grida contro di lui, egli sente dentro di sé una voce sicura che lo invita a non temere, a credere a ciò in cui sempre ha creduto, ossia al fatto che egli è il Re, è il Signore.

Le apparenze non lo dicono affatto. Pilato non lo distingue, non lo riconosce. Ma egli sa bene chi è, anche in quei duri e tristi momenti, in quelle ore di giudizio tremendo. Pilato sta lì a giudicarlo ed egli non perde la sua certezza: Sì, sono Re!

Una fiducia tremenda, incrollabile, in quel Padre che lo ha inviato nel mondo, in quel Padre che ha lasciato i tratti del suo volto nel suo, lo fa stare in piedi dinanzi al giudizio, con compostezza. Egli, dentro di sé, nel suo intimo, radicato nella sua verità più profonda, porta la certezza che il Padre non lo abbandonerà mai, la certezza di una verità più grande di quella di Pilato: egli è Re di un regno che non è di questo mondo. Egli è Re non solo di noi, ma anche di se stesso: sa stare in piedi anche se ha paura, anche se le gambe gli tremano, anche se si trova dinanzi a un tribunale che lo giudica ingiustamente.

Questa certezza fa del bene anche a noi.

Il Cristo che sta composto dinanzi a Pilato, che accetta il suo giudizio, che dialoga apertamente con lui senza lasciarsi sconvolgere… che è Re anche se tutto attorno gli sembra dire il contrario, è un Cristo che grida forte anche la nostra dignità di figli di Dio. La sofferenza, la miseria, i litigi, la fretta, il rumore… talvolta affievoliscono in noi questa certezza, annebbiano la nostra dignità: nel dolore ci smarriamo, viene fuori la nostra violenza, la nostra paura, la nostra brutalità… ma quello non è il tutto di noi. Dentro, c’è una dignità di figli di Dio che non ci viene tolta, che rimane stabile, incorruttibile: neanche il peccato ci può togliere la dignità di figli di Dio.

Ma il Cristo che osa rimanere in piedi anche se attorno a lui tutto è rifiuto e morte, ci invita anche ad affrontare le ore della nostra sofferenza, a viverle con compostezza, che non è freddezza, non è rigidità… ma fiducia, che non è sfida ma fede, che non è leggerezza ma speranza. Speranza di chi sa di appartenere a un regno che non è di questo mondo.

C’è una buona Notizia che ci chi chiama in quest’ultima domenica dell’anno liturgico: essa ci invita a stare in piedi da figli dentro alla vita!

– don Silvano, Casa Sant’Andrea