«Signore, insegnaci a pregare» – Diciassettesima domenica del tempo ordinario, anno C

«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).

Stupisce la domanda dei discepoli a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare». Stupisce il loro interesse per la preghiera, più che altro. Non mi pare così sentita e cercata, oggi, questa esperienza. Non mi pare essere uno dei nostri primi desideri quello di poter imparare a pregare. Piuttosto, ci abita un certo disinteresse per la preghiera, una certa indifferenza. Abituati, come siamo, a fare da noi stessi tante cose, forti delle nostre capacità, libertà e conquiste umane e personali, abbiamo l’impressione di non aver assolutamente bisogno di pregare e di poter vivere e affrontare il quotidiano anche senza qualcuno che ci aiuti o ci sostenga.

Per quanto l’oggi sia diverso dal tempo di Gesù, anche per i discepoli c’era il rischio dell’autosufficienza, eppure hanno manifestato a Gesù un interessa per la preghiera e la disponibilità a lasciarsi insegnare da lui come viverla. È importante, allora, chiedersi che cosa li ha incoraggiati a tanto, che cosa li ha messi in movimento di uscita da sé e di ricerca di Dio. È lo stesso brano evangelico di questa domenica a darci qualche indicazione. I discepoli hanno l’occasione, e non questa volta soltanto, di vedere Gesù che prega, che dedica del tempo in solitudine al dialogo con Dio ed è questa esperienza che li smuove a porre la loro domande. Osiamo pensare che Gesù, quando pregava, affascinasse per come stava con il Padre. Dalla preghiera del “Padre nostro” che ci ha insegnato, sappiamo che la sua preghiera era un dialogo confidente con Dio, un rivolgersi a lui portandogli le necessità semplici della vita quotidiana, ma anche quelle più impegnative: era una preghiera al “noi”, dove c’era posto per tanti, per tutti, per i malati, i poveri, i sofferenti, i duri di cuore, gli ipocriti, i bambini, i giovani e gli adulti che incontrava nelle sue giornate. Da suo rapporto con il Padre, Gesù usciva rinvigorito, più deciso nel suo camminare verso Gerusalemme, forte nel fare dono di sé ai fratelli. Contemplando Gesù che pregava, i discepoli hanno visto ciò che potevano diventare se anche loro avessero coltivato il suo modo di pregare, se anche loro, oltre a vivere la preghiera di Israele, avessero fatto propri gli atteggiamenti fiducioso e spontanei del Maestro, se anche loro avessero coltivato la sua relazione con Dio.

Anche noi possiamo avvertire la possibilità di pregare. Diventa possibile se alziamo lo sguardo da noi stessi e lo solleviamo verso Gesù, fermandoci a guardare lui, a guardare come prega, ad ascoltare cosa dice al Padre e come lo dice. È possibile se diamo spazio all’ascolto della Parola che ci fa vedere da vicino i frutti della preghiera nella vita di Gesù, il suo stare con i discepoli, il suo andare verso tutti, il suo donarsi con generosità fino alla fine. Scopriremo, allora, la preghiera come bellezza, prima che necessità, la bellezza di stare con Dio Padre e diventare persone migliori, figli realizzati, contenti di stare con lui e con i fratelli. Scopriremo la potenza della preghiera, come Abramo, la forza della grazia che nella preghiera scalda il cuore, lo libera dai pesi della paura e del peccato, dall’illusione di poter fare tutto da sé e che fare da sé sia meglio che fare insieme agli altri e insieme a Dio. Scopriremo la gioia della gratuità, perché pregare non serve, dopo tutto, ma è bello stare con il Padre alla maniera di Gesù.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea