“Non è bene che l’uomo sia solo” – XXVII domenica del tempo ordinario, Anno B

“Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18).

Sin da piccolo, nei miei ricordi, si trova indelebile il desiderio di incontro. Mi trovo allora spesso a giocare con i cugini, con gli amici di scuola, come tanti bambini amano fare. Il motto era o tutti o nessuno. Non mi piaceva la selezione, l’esclusione, la divisione. La ricerca di relazione si faceva viva anche attraverso lo sport calcio o pallavolo, poco importava: una squadra favorita non c’era perché non facevo un vero tifo, ma la cosa più bella era la squadra, giocare insieme, per un obiettivo comune.

Già da piccolo ho sperimentato come la comunità parrocchiale era una possibilità per incontrare, relazionarsi e condividere degli impegni comuni. Questo spirito sarà un aspetto che mi accompagnerà come una costante, per il resto della vita. Oggi, anche se con qualche sfumatura diversa, è ancora così. È così la mia storia di fede che già aveva mosso i primi passi attraverso il catechismo, le preghiere in famiglia, il rosario nel mese di maggio e che crescerà attraverso il servizio. Nel fare il chierichetto e poi l’animatore al grest, ai campiscuola e all’acr, sono diventato educatore.  Il sentirmi utile, il crescere con gli amici attraverso impegni da condividere era la parte migliore, la parte che sceglievo e che comunque avrei scelto di fronte ad ogni alternativa.  Inconsapevolmente, il Signore si faceva vicino e iniziava a camminare con me: le domande di fondo iniziavano ad emergere e sentivo sempre più la necessità di chiarezza.

Ad un certo punto, una nuova stagione della mia vita prende inizio quando mi rendo conto che tutto ciò che ho non basta più. Un incontro, mi sprona a continuare la mia ricerca in una strada nuova.

Loris, come stai? È la domanda che mi porto dentro, è una domanda che mi interpella, che chiede verità, che mette in discussione quanto vissuto fino ad ora: è la domanda a cui quotidianamente cerco di rispondere.

Un bisogno di radicalità mi chiama a scegliere cosa desidero dalla mia vita. L’essere per tutti, l’essere a servizio, l’essere per il Signore. Tre movimenti che mi aiutano a guardare alla mia storia di fede come ad una fede concreta fatta di azioni, moti del cuore, profondità nuove, orizzonti larghi. Il mio cuore si è come dilatato a una nuova misura che faticavo a comprendere.

“Non è bene che l’uomo sia solo”, dice il Signore oggi.

In questo percorso non sono mai stato solo: il Signore si è fatto presente nelle persone, negli eventi e nei momenti vissuti. È questo che quotidianamente mi fa avvicinare a lui. Sento che ha qualcosa da dire, che mi vuole stare vicino, che mi cerca. Non è cosa immediata, non è cosa semplice, ma lui è lì, sta alla porta e bussa.

Il Signore mi chiama a non essere solo. Ma cosa ha pensato per me il Signore?

La vita presbiterale, mai considerata come possibile approdo della mia ricerca, arriva quasi come risposta naturale al mio desiderio di essere per tanti. Andare al centro della mia persona e scoprire che è forte il desiderio di fare miei gli stessi sentimenti di Cristo. Sentimenti che sperimento nell’incontro con gli altri che quotidianamente si avvicinano a me, nei ragazzi del campo scuola, negli anziani con cui mi piace scambiare qualche parola, con qualche malato la cui fede viene messa alla prova, nel sodalizio che cuore a cuore stringo implicitamente con i genitori dei ragazzi che ho la fortuna di avere al fianco.

Mi rendo sempre più conto che il presbiterato non è una scelta tra le tante, ma una risposta, un’adesione ad una proposta totalizzante. In termini difficili si parla di: “Affidamento totale della propria vita al Signore” … “a servizio della Chiesa di Dio, nel contesto di un’esperienza di fede profonda motivata e personalizzata”, un po’ come due sposi si promettono fedeltà, amore e onore finché Dio lo concederà loro.

Tanti sono gli esempi di prete che ho avuto la fortuna di incontrare, tanti i carismi, tanta l’umanità sperimentata, le fatiche e le fragilità ma sono anche consapevole che se questo è ciò che il Signore mi chiede, non mi lascerà solo, perché il mio aiuto viene da lui.

“Non è bene che l’uomo sia solo, gli faccio un aiuto che gli corrisponda”.

Ad ognuno è dato questo aiuto. È una chiamata per tutti, una chiamata che apre ad ogni vocazione, sia essa presbiterale o religiosa, laicale o matrimoniale. Troviamo allora questo “aiuto” che ci è dato da lui. Partiamo dalla comunità in cui siamo inseriti e facciamoci mano di Dio affinché ciascun membro si senta accompagnato per mano a lui, facciamoci bocca che mai si stanchi di narrare il suo Vangelo di salvezza, facciamoci occhio che possa vedere le necessità dei fratelli. Solo così potremo dire di camminare verso il suo regno, facendoci prossimi di ciascuno e soprattutto ricordando sempre che le nostre storie di fede edificano, fanno crescere la chiesa. Aiutiamoci dunque affinché ciascuno non si senta mai solo, ma abbia nella comunità l’aiuto che gli corrisponda.

– Loris, seminarista