Nessun servitore può servire due padroni – XXV domenica del tempo ordinario, Anno C

“Nessun servitore può servire due padroni”

La parabola dell’amministratore scaltro ha sempre suscitato perplessità in ognuno di noi: com’è possibile che il Vangelo presenti un uomo “disonesto” quale modello da cui imparare?

In realtà la parabola vuole attirare piuttosto l’attenzione sui mezzi a cui l’amministratore ricorre per farsi degli amici. Il vero centro della parabola è racchiuso nella constatazione che «i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce». La parabola non dovrebbe essere intitolata “l’amministratore infedele”, come spesso avviene, bensì “l’amministratore astuto”. Appena si accorge che il suo futuro è in pericolo, l’amministratore volge a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è venuto a trovarsi. Non solo il padrone lo loda, ma Gesù ci dice anche di imitarlo. Ci chiede di essere altrettanto scaltri, col fine di farsi amici per guadagnarci il regno dei cieli. Sembra che l’amministratore astuto comprenda che non può più fare gli affari suoi, non può più gestire la vita in modo disonesto-egoistico, è cosciente che è arrivato il tempo di procurarsi degli amici per “salvarsi”. Gesù ci chiede di usare l’astuzia che usiamo per i nostri affari, anche nelle cose di Dio.

La prima scaltrezza è data dal fatto che quest’uomo non si demoralizza, non si lascia abbattere, ma dice subito: «so io cosa fare». Tutto ciò che accade nella vita è un’occasione per crescere, per migliorarsi. Dentro a ogni avvenimento, anche quello più imbarazzante, può nascondersi una nuova chiamata. Quando ciò che prima dava garanzie, certezze per il futuro, viene meno, è il momento di aguzzare lo sguardo, di aprire il cuore a nuove possibilità, non tanto per tentare una nuova avventura, ma per chiederci: «Che cosa il Signore mi chiede dentro a questa nuova situazione? Che cosa vuole dirmi? Dove desidera che io volga lo sguardo?».

La seconda scaltrezza sta nel distinguere la ricchezza vera da quella falsa. I beni di questo mondo offrono una stabilità momentanea, passeggera. Anche certi modelli “mondani” a cui ci ispiriamo per inseguire il successo o per affermare noi stessi si rivelano illusori perché creano attese che non sono in grado di soddisfare. Appoggiarsi a loro significa rimanerne delusi, svuotati, depressi. A questo punto dobbiamo farci astuti e capire qual è la vera ricchezza della vita, per non diventare schiavi di quella effimera.

«Francesco… Francesco… dimmi chi vuoi servire, il servo o il padrone?», così o pressappoco in questo modo Dio si rivolse a Francesco d’Assisi durante il sonno. E noi, chi vogliamo servire? A chi vogliamo sia dedicata la nostra vita?

Il Signore non elogia l’amministratore disonesto per la sua scorrettezza, ma per la sua sapienza. Se ci mettessimo lo stesso impegno nel cercare le cose di Dio!

Forse, nelle nostre famiglie stiamo investendo su valori che promettono mete a bassa portata: quanti progetti, quanto tempo, quante energie facciamo impegnare ai nostri figli per la realizzazione sportiva, per la cura della bellezza, per un tenore di vita riconosciuto… ma è forse questo il tesoro che dobbiamo custodire per loro? È forse questa l’eredità che sentiamo di dover lasciare loro?

Quanto prezioso e quanto fruttuoso è invece alimentare la loro interiorità, educarli a cercare quelle «dimore eterne» (Lc 16,9) che Gesù assicura a quanti sanno individuare e amministrare con scaltrezza quello che può essere il tesoro autentico per la loro vita!

Un’ultima cosa: ma chi sono questi amici da conquistarci affinché ci aiutino a entrare nel regno dei cieli? Sono i poveri. Il mio prossimo, mia moglie, i miei figli, i miei colleghi di lavoro, e Gesù aggiunge: “il mio nemico”. È l’amore che ci salverà, è l’Amore che ci giudicherà, e un amore che “non fa male” non è amore vero. Santa Teresa di Calcutta diceva: “Il vero amore deve sempre fare male. Deve essere doloroso amare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno. Solo allora si ama sinceramente”. “Chi è fedele nel poco sarà fedele nel molto”. La fedeltà alle piccole cose è il vero specchio dell’amore. Ricordiamo un aneddoto, sempre di santa Teresa di Calcutta nel rispondere a un giornalista che le chiedeva come si potesse promuovere la pace nel mondo. La religiosa rispose: “Vai a casa e ama la tua famiglia”.

Accogliamo questo invito. Per poter essere fedeli alle grandi opere, bisogna essere fedeli alle piccole. Anche noi andiamo a casa, andiamo nella nostra comunità, cerchiamo di amare e… il Signore non mancherà di indicarci la via della vita.

don Nicola Tonello