“Mentre gli apostoli lo guardavano, fu elevato in alto” – Solennità dell’Ascensione del Signore, anno A

“Mentre gli apostoli lo guardavano, fu elevato in alto” (At 1,9).

“Solo il cristianesimo ha osato situare un corpo d’uomo nella profondità di Dio”, lo scrive riferendosi alla festa dell’Ascensione il teologo veneto Romano Guardini. La frase è ancor più incisiva se la associo ad un’immagine nota, al quadro del pittore Salvador Dalì intitolato proprio “Ascensione”. Diversamente dal modo classico con cui veniva rappresentata la scena, il pittore spagnolo decide di disegnare un Gesù che si libra a mezz’aria attratto dalla luce del Padre e con in primo piano i piedi. I piedi: quale parte del corpo meglio di questa esprime la materialità, l’essere carne? I piedi poggiano sulla terra, garantiscono il collegamento del corpo con il mondo in modo saldo. Quei piedi saranno stati impolverati dalle strade di terra della Palestina o anche segnati da piccole ferite, ma sono saliti anche loro all’azzurro perfetto del cielo. Dalì, contro la tentazione di separare (o anche preferire) l’anima al corpo rappresenta il Figlio con un realismo quasi imbarazzante!

L’Ascensione ci ricorda anche questo: come cristiani siamo chiamati a prenderci carico della bellezza dei corpi e anche del mondo in cui ci troviamo a vivere. Ce lo ricorda spesso papa Francesco, che non smette di richiamare l’attenzione sui problemi sociali dell’oggi, sul valore della persona e del lavoro, sulla responsabilità nella cura dell’ambiente. Non possiamo considerarci cristiani se non amiamo la “terra”, in tutti i suoi aspetti. Come credenti, allora, ci sentiamo impegnati in questo momento di ripartenza e progettazione, per realizzare una società che non escluda nessuno, che sia capace di promuovere la bellezza (che non è solo questione di estetica!). La bellezza è insieme cura del particolare e attenzione al contesto, in questo senso anche oggi va data attenzione alla singola persona, ai suoi diritti e ai suoi desideri e caratteristiche, senza però dimenticare che ciascuno è inserito sin dall’inizio della propria vita in una rete di relazioni sociali: anche queste meritano attenzione. Come uomini siamo chiamati poi a prenderci cura dell’ambiente in cui viviamo, delle sue necessità e dei pericoli che sta attraversando: siamo custodi e responsabili del creato. Ma come integrare tutte queste attenzioni? Come unire bisogni e punti di vista così differenti? La parola chiave è “equilibrio”: è questione di armonia tra il singolo e il tutto, tra le necessità dell’uno e quelle dell’altro. Come un bambino per rimanere in piedi e camminare ha bisogno di trovare un equilibrio sui propri piedi, così come credenti in continuo cammino di vita e di fede dobbiamo cercare un necessario quanto sempre in divenire bilanciamento tra tante ragioni e tanti punti di vista. È un continuo esercizio di mediazione, può risultare faticoso ma preferisco leggerlo come un continuo stimolo a non rinchiudersi in sé ma comprendere le ragioni dell’altro e a provare ad integrarle in un pensiero e in un quadro più grande: quello dei valori che avverto come miei e quello del Vangelo.

Dalì nella parte superiore del quadro non dipinge, come si era soliti vedere, la mano del Padre ma un volto femminile, con le sembianze della moglie. Nel librarsi verso l’alto il Cristo non si distacca da ciò che ha vissuto nell’incarnarsi, da chi ha incontrato e amato, al contrario di avvicina sempre più all’umanità, intessuta di relazioni e di ricordi, si avvicina al significato e alla verità delle relazioni più coinvolgenti e autentiche, quali quelle con la propria sposa. È un volto femminile quello nell’alto della tela perché può essere identificato anche con la Chiesa: ma d’altro lato che cos’è la Chiesa se non una comunità di persone che cercano di vivere la sequela di Cristo sul suo esempio di interessamento gratuito e di amore per tutto quanto li circonda?

don Eros, diacono del Seminario Maggiore