«Gesù, maestro, abbi pietà di me» – XXVIII domenica del Tempo ordinario, anno C

«Gesù, maestro, abbi pietà di me» (Lc 17,13)

Ogni giorno incontriamo delle persone, persone note e altre meno note o sconosciute, così pure alla domenica, quando ci raduniamo insieme per l’Eucaristia. La loro presenza spesso per noi è così normale da sembrarci scontata e diventando scontata a volte succede che ci perdiamo il dono che quella persona può farci. Ogni persona, infatti, porta sempre con sé un’occasione per chi la incontra, un’occasione che possiamo cogliere soltanto se ci mettiamo nei suoi confronti in un atteggiamento di disponibilità e accoglienza.

È questo quanto ci ricorda oggi uno straniero che insieme ad altri nove si avvicina a Gesù gridando insieme a loro la preghiera: «Gesù, maestro, abbi pietà di me». Con gli altri nove parte, poi, sicuro della parola di Gesù e della guarigione, ma soltanto lui ritorna. Quello straniero ha riconosciuto il valore della persona di Gesù, ha riconosciuto che la persona di Gesù ha più valore della sua guarigione, che è più importante il donatore rispetto al dono ricevuto. Quel samaritano è una persona di fede, tanto che soltanto lui viene salvato: come gli altri è guarito, ma soltanto lui può alzarsi e andare via salvato dalla sua fede. Egli ha incontrato Gesù in modo diverso da tutti gli altri, non con l’egoismo di chi pensa alle proprie necessità e quando vi ha dato risposta è apposto, ma con l’apertura di chi guarda l’altro e lo accoglie dentro di sé e solo perché ha incontrato Gesù in questo modo ha potuto sperimentare la salvezza, ossia la comunione con il Signore. I nove guariti trovano la salute, dono grande e importante, ma quello straniero trova la salvezza, ossia la pace con se stesso, con il suo corpo e la comunione con gli altri – visto che la lebbra lo aveva messo ai margini della società – e con il Signore, e questo è un dono ben più prezioso, ben più grande.

Questo straniero ci aiuta oggi a riconoscere che anche noi siamo dei lebbrosi e che la nostra lebbra a volte è la chiusura su noi stessi, l’autosufficienza, il ripiegamento sui nostri problemi, sui nostri schemi. Il suo andare da Gesù e poi il suo tornare da lui ci incoraggiano ad incontrare il Signore e ogni altra persona senza chiusure del cuore, in piena disponibilità, pronti ad accogliere tutti i loro doni, pronti a imparare ciò che con la loro vita, fatta di pregi ma anche di limiti, hanno da insegnarci. Se incontriamo il Signore e gli altri in questo modo si apre dinanzi a noi la possibilità di essere salvati, ossia di entrare in una vita piena, fatta di relazioni, di condivisione, di realizzazione.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea