Ascolteranno la mia voce – IV domenica di Pasqua – anno A

Ascolteranno la mia voce (Gv 10,16).


Il nostro udito è straordinario: riesce a percepire suoni di tanti tipi, vicini e lontani, robusti o sottilissimi. Noi non riusciamo a coglierli tutti e, talvolta, capita che non siano soltanto le voci o i suoni più deboli a perdersi, ma anche quelli più robusti, ossia che ne facciamo una selezione, frutto dei nostri interessi o anche delle fatiche e paure. La stessa voce di Dio che, come buon pastore, ci raggiunge e ci chiama per nome (Gv 10,3) talvolta la riconosciamo e altre volte passa in sordina, presi come siamo dai nostri impegni, dal vocio e dai rumori che ci circondano, ma anche dalle nostre paure e dai nostri pregiudizi su Dio, sui fratelli e su noi stessi. Val la pena chiedersi se udiamo bene, se stiamo ascoltando le parole, le voci e i suoni che ci sono attorno e dentro di noi, ma anche a quali stiamo dando attenzione o meno, così da renderci conto di come viviamo: vale anche la pena chiederci che posto ha la voce di Dio dentro di noi, quale ascolto, quale valore, con una sincerità che ci permetta di comprendere quale direzione stiamo dando alla nostra vita.

Ascolteranno la mia voce.

Ascoltare o, meglio, imparare ad ascoltare la voce del Pastore, è necessario per entrare nella sua e nostra gioia, per sperimentare la comunione tra di noi e con lui. Venuto per tutti, non solo per Israele, e volendo portare tutti alla pienezza della vita, Gesù è consumato dal desiderio che vi sia un solo gregge sotto un solo pastore (Gv 10,16) e che tutti i figli di Dio dispersi siano radunati (Gv 11,52). Da questa comunione nasce il vero cammino dell’uomo, ossia la nostra personale vocazione: dall’incontro e dalla comunione con il Signore e con gli altri nasce dentro di noi il desiderio di amare come Cristo fino a dare la vita come lui. È impensabile che ci interroghino sulla nostra vocazione se non viviamo una profonda e vera relazione con il Signore e con la comunità, se non sperimentiamo l’amore di Cristo pastore che dà la propria vita per le sue pecore (Gv 10,11). Allo stesso tempo, per scoprire e accogliere la propria vocazione è necessario che curiamo l’apertura agli altri, l’attenzione alle necessità delle persone, ai vuoti di profezia che ci sono attorno a noi. L’amore del buon Pastore per le sue pecore che lo provoca addirittura ad esporre se stesso per la loro salvezza, ci pone domande profonde e serie, ci interpella su come vivere e come spendere noi stessi, ci fa interrogare sulla nostra vocazione: l’esperienza della sua grazia, poi, ci permette di osare anche le risposte più generose, tanto da ipotizzare di esporci alla vita da preti, da sposi, da consacrati, da missionari, da laici che si dedicano al Regno di Dio.

Ascolteranno la mia voce.

“Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti” (Documento preparatorio del Sinodo dei vescovi sui giovani del 2018) non va da sé: per riuscirci è necessario l’esercizio del discernimento, ossia mettersi in ascolto di Dio per comprendere e mettere in pratica la sua Parola. Il buon pastore parla oggi, in questo mondo, in questo tempo, in questo momento, ma soltanto attraverso un attento e fiducioso discernimento possiamo comprendere e ascoltare la sua voce. Solo dentro una relazione viva con il Signore, coltivata con la preghiera e i Sacramenti, con l’ascolto quotidiano della Scrittura e il servizio ai fratelli, e che trova un luogo privilegiato di verifica nel dialogo con una guida spirituale, è possibile compiere un cammino di discernimento spirituale e vocazionale. Solo vivendo questo esercizio un ragazzo o un giovane riesce a concentrarsi sulla voce di Dio, lasciando che le altre voci vadano sullo sfondo, così da dare una direzione e un nuovo dinamismo al proprio cammino.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea